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Mamiani, Rosmini, Ventura vennero in luce. In esse non riscontrasi nulla del gran pensiero italiano, ma, invece, uno strano connubio de’ più contraddittori i principii: ragione e fede, autorità e libertà, diritti dei popoli e diritti dei principi: nè costoro, che intrecciano la loro filosofia sull’orditura imposta loro dai birri e dai preti, meritano il nome dei filosofi italiani. Durante i rivolgimenti del 48, ligia l’Italia a tali dottrine, naufragò prima di prendere il largo.

Se ci faremo a svolgere le pagine dei nostri filosofi, vi troveremo consacrate le leggi magistrali della natura. Eglino tentarono applicarle, ma troppo lontani dal risorgimento, subirono l’ascendente dei tempi, epperò vollero raddolcire i mali, rammorbidire le parti soverchiamente rigide, e non già sbarbicare quelli e rompere queste. Ma oggi le passate esperienze, le tendenze della società, i suoi mali cresciuti, ci danno facoltà a farlo. Quelle leggi debbono formare i cardini su cui dovrà equilibrarsi l’edificio sociale. Ricercare le istituzioni contraddittorie con esse, annientarle, e sostituire in loro vece i principii che ne emergono, sarà lo scopo del ragionamento che segue.

La prima verità che non può disconoscersi, senza negare l’evidenza, senza negare quaranta secoli di storia, è, che la ragione economica, nella società, domina la politica; quindi senza riformar quella, riesce inutile riformar questa. «Conservazione e tranquillità, scrive Filangieri, è il primo dato, e questo e non altro, è l’oggetto unico ed universale della scienza della legislazione. Ma l’uomo non può conservarsi senza i mezzi, la possibilità dunque di esistere, e di esistere con agio.» A che servono infatti i diritti dalle leggi accordati se la miseria rende impossibile il profittarne? Inoltre il difetto de’ mezzi materiali necessarii ad esistere annulla la vita politica della più gran parte della nazione, ma