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La schiera de’ riformatori surse in Italia assai precocemente: l’Accademia Telesiana, come accennammo nel primo saggio, quindi Bruno, Vannino, Campanella riconobbero i mali da cui veniva roso l’edifizio sociale, e dalla cima vollero diroccarlo. Cominciarono dal riscattare il diritto della ragione, e sostituirlo all’autorità; era questa l’arma che dovevano guadagnarsi onde compiere la loro missione; questa prima tenzone costò loro la vita. I conservatori surti a combatterli, eziandio d’ingegno potente, furono i gesuiti rincalzati dalla schiera fratesca. La discussione condusse Bruno e Vannino al rogo, e Campanella soffrì la tortura e ventisette anni di carcere; e se oggi ne annunziamo il profondo e splendido ingegno, i contemporanei ne ammirarono il sovrumano coraggio. Se i filosofi francesi del XVIII secolo poterono lietamente abbandonarsi ai voli del loro ingegno, ed oggi i socialisti disputano, senza tema del carnefice e del rogo, devesi ciò ai riformatori italiani, che comprarono col sangue il diritto di ragionare.

Ai sullodati riformatori tenne dietro il Vico, il Gravina... e tutta la nobile schiera dei nostri filosofi che termina con Romagnosi. Le leggi, come fugacemente dicemmo, che regolano le società, non furono più ignote, e la filosofia civile come un maestoso fiume, che raccoglie nel suo placido corso i spumeggianti torrenti, riunì le sparse membra dello scibile umano e formonne un tutto.

Intanto oltr’Alpe s’inaugurò il governo costituzionale, ecletismo politico, epperò sursero gli eclettici in filosofia, e la paralisi che da mezzo secolo ci opprime dalla Francia si sparse sull’Europa intera. L’incerta e pallida luce dell’eclettismo riverberò in Italia, quindi venne interrotto il maestoso lavoro, che seguitava continuo da Telesio a Romagnosi. Le dottrine di Gioberti,