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più vasto per l’esercizio delle sue facoltà, accresce i suoi bisosni, facilita i mezzi di soddisfarli; la vita dell’uomo associato deve necessariamente essere più ricca di sensazioni di quella dell’uomo isolato, ovvero quello godrà di una libertà maggiore che questo. Proudhon scrive «la libertà di ciascuno, riscontra, nella libertà altrui, non un limite, ma un aiuto; l’uomo il più libero è quello che ha maggior numero di rapporti coi suoi simili.» Quindi se per un individuo o per una classe di individui non si verifichi tale verità, è forza conchiudere, che i loro rapporti con l’intera società non sono equi, ma vi è indubitatamente ingiustizia.

Se da un uomo non richiedesi lavoro, mentre si costringe un altro a lavorare eccessivamente, havvi privilegio per quello, ingiustizia per questo, che sarà schiavo della società.

Il solo lavoro, che ogni mano senza distinzione alcuna deve per proprio utile compiere, è quello che le sue naturali attitudini indicano, ed i suoi bisogni richieggono.

Con questa legge e non altra, tutti gl’individui componenti una società dovrebbero contribuire all’accrescimento del comune prodotto. Inoltre cotesta società dovrebbe porre a disposizione di ognuno dei suoi membri, senza veruna eccezione, tutti quei mezzi che essa possiede, onde facilitare lo sviluppo delle loro facoltà fisiche e morali e porlo in grado di riconoscere e utilizzare le proprie attitudini. Solo in tal caso dall’assoluta libertà d’ognuno risulterebbe massimo prodotto e massima felicità. Ma quanto siamo lungi da un simile stato!

Come provvedesi all’educazione del proletariato? In un modo negativo, costringendolo dall’infanzia a continuato lavoro che aggiunge alla mancanza dei mezzi, quella del tempo e delle forze. E sotto qual pena cotesta numerosa classe vien condannata all’ignoranza? la più terribile: la morte per fam in mezzo all’ab-