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illusione, non è nazionalità, nè potrà mai attuarsi perchè leghe principesche, o principi, non possono né conquistarla, né conservarla. L’Italia per vincere i suoi numerosi e potenti nemici bisogna che combatta svincolata dalle pastoie domestiche, la guerra del risorgimento: gli italiani debbono guerreggiarla da uomini perfettamente liberi: richiedere all’esaltazione le schiere, ed al bollore delle passioni popolari quei genii che mai non mancano nelle rivoluzioni, come le folgori non mancano alla tempesta. Il credere che la libertà debba seguire l’indipendenza è funestissimo errore, è quello che nel 1848 ci ricacciò nella schiavitù.

VI. Affermano alcuni, ma non molti, che potrebbesi, benché privi di nazionalità, godere libertà. La più parte di costoro sono dotti, pei quali, a loro credere, è patria il mondo, e cotesta vanità può, in parte, adonestare il loro asserto, che, assurdo quanto quello di nazionalità senza libertà, male adequerebbesi colla loro dottrina.

L’essere privi di nazionalità vuol dire che un elemento straniero debba, nella nostra patria, preponderare, ed in tal caso è indubitato che la libertà individuale verrà lesa. L’Italia, o parte di essa, dicono costoro, potrà formar parte di un’altra nazione libera, e godere di una tal libertà. In primo luogo, come l’utile, le attitudini, le cognizioni non si riscontrano mai identiche fra due individui, del pari avviene fra due nazioni. Un italiano non sarà mai né francese, né tedesco senza una forza estrinseca che violenti il suo naturale. È questa una verità comunemente sentita, un assioma che non ha bisogno di dimostrazioni; una provincia italiana o l’intera Italia, che facesse parte di liberissimo impero, non potrebbe perciò dirsi libera; gli italiani non sarebbero che schiavi beati (per quanto possa esservi beatitudine fra le catene), ma non altro che schiavi. Se poi