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Ma subito ella si cacciò le mani nei capelli, ne trasse le forcinelle e disfece in un attimo la pettinatura.

— Va’ là! — mi disse. — Ho voluto farti uno scherzo. So bene, signorino, che non ti piaccio pettinata così! —

Protestai, di scatto:

— Ma chi te l’ha detto, Dida mia? Io ti giuro, anzi, che... —

Mi tappò la bocca con la mano.

— Va’ là! — ripetè. — Tu me lo dici per farmi piacere. Ma io non debbo piacere a me, caro mio. Vuoi che non sappia come piaccio meglio al mio Gengè? —

E scappò via.

Capite? Era certa certissima che al suo Gengè piaceva meglio pettinata in quell’altro modo, e si pettinava in quell’altro modo che non piaceva nè a lei nè a me. Ma piaceva al suo Gengè; e lei si sacrificava. Vi par poco? Non sono veri e proprii sacrifici, questi, per una donna?

Tanto lo amava!

E io — ora che tutto alla fine mi s’era chiarito — cominciai a divenire terribilmente geloso — non di me stesso, vi prego di credere: voi avete voglia di ridere! — non di me stesso, signori, ma di uno che non ero io, di un imbecille che s’era cacciato tra me e mia moglie; non come un’ombra vana, no, — vi prego di credere — perchè egli anzi rendeva me ombra vana, me, me, appropriandosi del mio corpo per farsi amare da lei.