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come quel vostro cappellaccio, s’è messo a volare, a far l’uccellino! Ecco intanto qua un vero uccellino come vola. L’avete visto? La facilità più schietta e lieve, che s’accompagna spontanea a un trillo di gioja. Pensare adesso al goffo apparecchio rombante e allo sgomento, all’ansia, all’angoscia mortale dell’uomo che vuol fare l’uccellino! Qua un frullo e un trillo; là un motore strepitoso e puzzolente, e la morte davanti. Il motore si guasta; il motore s’arresta; addio uccellino!

— Uomo, — dite voi, sdrajati qua sull’erba, — lascia di volare! Perchè vuoi volare? E quando hai volato? —

Bravi. Lo dite qua, per ora, questo; perchè siete in campagna, sdrajati sull’erba. Alzatevi, rientrate in città e, appena rientrati, lo intenderete subito perchè l’uomo voglia volare.

Qua, cari miei, avete veduto l’uccellino vero, che vola davvero, e avete smarrito il senso e il valore delle ali finte e del volo meccanico. Lo riacquisterete subito là, dove tutto è finto e meccanico, riduzione e costruzione: un altro mondo nel mondo: mondo manifatturato, combinato, congegnato; mondo d’artificio, di stortura, d’adattamento, di finzione, di vanità; mondo che ha senso e valore soltanto per l’uomo che ne è l’artefice.

Via, via, aspettate che vi dia una mano per tirarvi su. Siete grasso, voi. Aspettate: su la schiena v’è rimasto qualche filo d’erba... Ecco, andiamo via.