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§ 10. L’uccellino.


Sentite, sentite: su nel bosco dei castagni, picchi d’accetta. Giù nella cava, picchi di piccone.

Mutilare la montagna, atterrare alberi per costruire case. Là, nella vecchia città, altre case. Stenti, affanni, fatiche d’ogni sorta; perchè? Ma per arrivare a un comignolo, signori miei; e per fare uscir poi da questo comignolo un po’ di fumo, subito disperso nella vanità dello spazio.

E come quel fumo, ogni pensiero, ogni memoria degli uomini.

Siamo in campagna qua; il languore ci ha sciolto le membra; è naturale che illusioni e disinganni, dolori e gioje, speranze e desiderii ci appajano vani e transitorii, di fronte al sentimento che spira dalle cose che restano e sopravanzano ad essi, impassibili. Basta guardare là quelle alte montagne oltre valle, lontane lontane, sfumanti all’orizzonte, lievi nel tramonto, entro rosei vapori.

Ecco: sdrajato, voi buttate all’aria il cappellaccio di feltro: diventate quasi tragico; esclamate:

— Oh ambizioni degli uomini! —

Già. Per esempio, che grida di vittoria perchè l’uomo,