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Vedere le cose con occhi che non potevano sapere come gli altri occhi intanto le vedevano.

Parlare per non intendersi.

Non valeva più nulla essere per sè qualche cosa.

E nulla più era vero, se nessuna cosa per sè era vera. Ciascuno per suo conto l’assumeva come tale e se ne appropriava per riempire comunque la sua solitudine e far consistere in qualche modo, giorno per giorno, la sua vita.

Ai piedi del suo letto, con un aspetto a me ignoto, e a lei impenetrabile, io stavo lì, naufrago nella sua solitudine; e lei nella mia, là davanti a me, sul suo letto, con quegli occhi immobili e lontanissimi, pallida, un gomito puntato sul guanciale e il capo arruffato sorretto dalla mano.

Sentiva verso tutto ciò ch’io le dicevo un’invincibile attrazione e insieme una specie di ribrezzo; a volte, quasi odio: glielo vedevo lampeggiare negli occhi, mentre con la più avida attenzione ascoltava le mie parole.

Voleva tuttavia che seguitassi a parlare, a dirle tutto quello che mi passava per la mente: immagini, pensieri. E io parlavo quasi senza pensare; o piuttosto, il mio pensiero parlava da sè, come per un bisogno di rilasciare la sua spasimosa tensione.

— Lei s’affaccia a una finestra, guarda il mondo, crede che sia come le sembra. Vede giù per via passare la gente, piccola nella sua visione ch’è grande, così dall’alto della finestra a cui è affacciata. Non può non sentirla in sè questa grandezza, perchè se un