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§ 3. Seguito a compromettermi.
Venne a trovarmi, la mattina dopo, mio suocero.
Dovrei dir prima (ma non dirò) fin dov’ero arrivato con l’immaginazione, farneticando per gran parte della notte, a furia di tràr conseguenze dalle condizioni in cui m’ero messo di fronte agli altri, non solo, ma anche rispetto a me stesso.
M’ero sottratto affannato a un breve sonno di piombo, con la sensazione dell’ostile gravezza di tutte le cose, anche dell’acqua raccolta nel cavo delle mani per lavarmi, anche dell’asciugamani di cui dopo m’ero servito; quando, all’annunzio della visita, improvvisamente mi sentii tutto alleggerire da un pronto risveglio di quell’estro gajo che per fortuna come un benefico vento m’arieggia ancora a tratti lo spirito.
Feci volar l’asciugamani e dissi a Nina:
— Bene bene. Fallo accomodare nel salotto, e digli che vengo subito. —
Mi guardai allo specchio dell’armadio con irresistibile confidenza fino a strizzare un occhio per significare a quel Moscarda là che noi due intanto c’intendevamo a maraviglia. E anche lui, per dire la verità, subito mi strizzò l’occhio, a confermare l’intesa.