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— Ma no! — fece, smorendo subito sotto la minaccia di quel dito.

— No, eh? — gli gridai tenendolo fermo con gli occhi. — Resta intanto assodato questo tra noi, bada! —

Quantorzo, allora, rimasto come a mezz’aria, vagellò; non già perchè gli nascesse lì per lì di nuovo il dubbio ch’io potessi anche esser pazzo per davvero, no; ma perchè, non comprendendo la ragione per cui mi premeva d’assodare ch’egli non m’aveva per tale, nell’incertezza, temendo un’insidia da parte mia, quasi quasi si pentiva d’aver detto di no così in prima, e tentò di disdirsi con un mezzo sorriso.

— No, aspetta... ma devi convenire... —

Che bella cosa! ah che bella cosa! Ora Dida, seguitando a guardare accigliata un po’ me e un po’ Quartorzo, dava a vedere chiaramente che non sapeva più che pensare così di lui come di me. Quel mio scatto, quella mia domanda a bruciapelo, che per lei – s’intende — erano stati uno scatto e una domanda del suo Gengè; e del tutto incomprensibili come di lui, se non a patto che Quantorzo lì presente e il signor Firbo avessero commesso qualche mancanza così enorme da renderlo ora, Dio mio, proprio irriconoscibile il suo Gengè, di fronte al momentaneo smarrimento di Quantorzo quello scatto, dico, e quella domanda avevano avuto l’effetto di farla dubitare più che mai della posata assennatezza di quel suo rispettabile Quantorzo. E così palesemente esprimeva con gli occhi questo dubbio, che Quantorzo, appena pensò di rivolgersi anche a lei, in quel tentativo di disdirsi col suo mezzo