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aveva saputo dimostrare così bene d’aver la testa a segno, che certo a nessuno poteva venire in mente di chiuderlo in un manicomio o d’interdirlo; mentre la mia dichiarata insipienza e quel mio disinteressamento mi scoprivano invece pazzo da legare e nient’altro, buono soltanto a distruggere scandalosamente ciò che mio padre aveva con nascosta accortezza edificato.

Ah, non c’è che dire, stava tutta dalla parte di Firbo la logica. Ma non stava meno, se vogliamo, dalla parte di Quantorzo, allorchè questi (non ne ho il minimo dubbio) gli dovette far notare a quattr’occhi che, essendo io il padrone della banca, quel mio disinteressamento dagli affari e la mia insipienza non erano da assumere come armi contro di me, perchè, grazie ad essi appunto, i veri padroni là dentro erano divenuti loro due; e che dunque, via, era meglio non toccare questo tasto e star zitti, almeno fin tanto ch’io non déssi altro segno di voler commettere nuove pazzie.

Altro, segretamente, dal canto mio, avrei potuto far notare a Firbo, se — schiacciato com’ero in quel momento dalla prova or ora fatta — non mi fosse convenuto di starmi con la coda tra le gambe, mentre tra lui e Quantorzo pendeva quella lite, o meglio, mentre ancora rimaneva incerto se ai miei danni dovesse prevalere la brama dell’uno di vendicarsi dell’affronto che gli avevo fatto davanti ai commessi, o non piuttosto l’interessata indulgenza dell’altro.