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M’arrestai d’un tratto, spaventato a mia volta dagli occhi con cui mi guardavano. Quel che avevo fatto, quel che dicevo non aveva certo nè ragione nè senso per loro. Per ripigliarmi, dissi bruscamente:

— Alle corte. Ero venuto qua, oggi, per domandarvi conto d’un certo Marco di Dio. Vorrei sapere com’è che costui da anni non paga più la pigione, e ancora non gli si fanno gli atti per cacciarlo via. —

Non m’aspettavo di vederli cascare, a questa domanda, in un più grande stupore. Si guardarono come per trovare ciascuno nella vista dell’altro un sostegno che li ajutasse a sorreggere l’impressione che ricevevano di me, o piuttosto, d’un essere sconosciuto che insospettatamente scoprivano in me all’improvviso.

— Ma che dici? che discorsi fai? — domandò Quantorzo.

— Non vi raccapezzate? Marco di Dio. Paga o non paga la pigione? —

Seguitarono a guardarsi a bocca aperta. Scoppiai di nuovo a ridere; poi d’un tratto mi feci serio e dissi come a un altro che mi stésse di fronte, spuntato lì per lì davanti a loro:

— Quando mai tu ti sei occupato di codeste cose? —

Più che mai stupiti, quasi atterriti, rivolsero gli occhi a cercare in me chi aveva proferito le parole ch’essi avevano pensato e che stavano per dirmi. Ma come! Le avevo dette io?

— Sì — seguitai, serio. — Tu sai bene che tuo padre lo lasciò lì per tanti anni senza molestarlo, questo Marco di Dio. Come t’è venuto in mente, adesso? —