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sentazione davanti al pubblico, con le loro ombre; ed essi debbono contentarsi di rappresentare solo davanti a lei. Quando hanno rappresentato, la loro rappresentazione è pellicola.

Mi possono voler bene?

Un certo rinfranco all’avvilimento lo hanno nel non vedersi essi soli mortificati al servizio di questa macchinetta, che muove, agita, attrae tanto mondo attorno a sè. Scrittori illustri, commediografi, poeti, romanzieri, vengono qua, tutti al solito dignitosamente proponendo la «rigenerazione artistica» dell’industria. E a tutti il commendator Borgalli parla d’un modo, e Cocò Polacco d’un altro: quello, coi guanti da direttore generale; questo, sbottonato, da direttore di scena. Ascolta paziente tutte le proposte di scenarii, Cocò Polacco; ma a un certo punto alza una mano, dice:

— Oh no, quest’è un po’ crudo. Dobbiamo sempre aver l’occhio agl’Inglesi, caro mio! —

Trovata genialissima, questa degli Inglesi. Veramente la maggior parte delle pellicole prodotte dalla Kosmograph va in Inghilterra. Bisogna dunque per la scelta degli argomenti adattarsi al gusto inglese. E quante cose allora non vogliono gl’Inglesi nelle pellicole, secondo Cocò Polacco!

— La pruderie inglese, tu capisci! Basta che dicano shocking, e addio ogni cosa! —

Se le pellicole andassero direttamente al giudizio del pubblico, forse forse tante cose passerebbero; ma no: per l’importazione delle pellicole in Inghilterra ci sono gli agenti, c’è lo scoglio, c’è la piaga degli agenti. Decidono loro, gli agenti, inappellabilmente: questo va, questo non va. E per ogni