Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/51


§ 3.


Conosco bene adesso questa donna, o almeno quanto è possibile conoscerla, e mi spiego tante cose rimaste lungo tempo per me incomprensibili. Se non che, la spiegazione ch’io ora me ne faccio, rischierà forse di parere incomprensibile agli altri. Ma io me la faccio per me e non per gli altri; e non intendo minimamente di scusare con essa la Nestoroff.

Scusarla davanti a chi?

Io mi guardo dalla gente di professione perbene, come dalla peste.

Sembra impossibile che non debba godere della propria malvagità chi per calcolo e con freddezza la eserciti. Ma se questa infelicità (e dev’esser tremenda) esiste, dico di non poter godere della propria malvagità, lo sprezzo per questi malvagi, come per tanti altri infelici, forse può esser vinto, o almeno attenuato, da una certa pietà. Parlo, per non offendere, quasi come una persona discretamente perbene.

Ma dovremmo, buon Dio, riconoscere questo: che siamo tutti — chi più, chi meno — malvagi; ma che non ne godiamo, e siamo infelici.

È possibile?

Tutti riconosciamo volentieri la nostra infelicità; nessuno, la propria malvagità; e quella vogliamo vedere senz’alcuna ragione o colpa nostra; mentre cento ragioni, cento scuse e giustificazioni ci affanniamo a trovare per ogni piccolo atto malvagio da noi compiuto, che ci sia messo innanzi dagli altri o dalla nostra stessa coscienza.