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fonde nella stanza, che rimane in una fresca, deliziosa penombra, imbalsamata dalle fragranze del giardino.

Che felicità, che bagno di purezza per l’anima, a stare un po’ distesi su quel divano antico, dalle testate alte, coi rulli di stoffa verde, anch’essa un po’ scolorita.

— Giorgio! Giorgio! —

Chi chiama dal giardino? È nonna Rosa, che non arriva a cogliere neppure con l’ajuto della sua cannuccia i gelsomini di bella notte, or che la pianta, crescendo, s’è rampicata alta su su per il muretto.

Piacciono tanto a nonna Rosa quei gelsomini di bella notte! Ha su, nell’armadio a muro, una cassettina piena di spighe a ombrello di rizòmolo, seccate; ne prende una ogni mattina, prima di scendere in giardino; e quando ha raccolto i gelsomini con la sua cannuccia, siede all’ombra del pergolato, inforca gli occhiali e infilza a uno a uno quei gelsomini negli esili gambi di quella spiga a ombrello, finchè non ne forma una bella rosa bianca, piena, dal profumo intenso e soave, che va a deporre religiosamente in un vasetto sul piano del cassettone nella sua camera, innanzi all’immagine del suo unico figliuolo, morto da tant’anni.

È così intima e raccolta, quella casetta, e paga della vita che racchiude in sè, e senz’alcun desiderio di quella che si svolge rumorosa fuori, lontano! Sta lì, come rannicchiata dietro il poggio verde, e non ha voluto neanche la vista del mare e del golfo meraviglioso. Voleva rimanere appartata, ignorata da tutti, quasi nascosta lì in quel