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Sono rimasto un pezzo col biglietto in mano, non sapendo che pensarne. La signorina Luisetta, già pronta per uscire, è passata per il corridojo davanti all’uscio della mia camera; l’ho chiamata.

— Guardi. Legga. —

Corse con gli occhi alla firma; si fece, al solito, rossa rossa, poi pallida pallida; finito di leggere, fissò gli occhi con uno sguardo ostile e una contrazione di dubbio e di timore nella fronte, e domandò con voce smorta:

— Che vorrà? —

Aprii le mani, non tanto per non saper che rispondere, quanto per conoscere prima che cosa ne pensasse lei.

— Io non vado, — disse, scombujandosi. — Che può volere da me?

— Avrà saputo, — le risposi, — che egli... il signor Nuti è alloggiato qui, e...

— E...?

— Vorrà forse dire qualcosa, non so... per lui...

— A me?

— M’immagino... anche a lei, se la prega d’accompagnarsi con me... —

Represse un fremito nella persona; non riuscì a reprimerlo nella voce:

— E che c’entro io?

— Non so; non c’entro neanche io, — le feci notare. — Ci vuole tutti e due...

— E che può avere da dire a me... per il signor Nuti? —

Mi strinsi nelle spalle e la guardai con fredda fermezza per richiamarla in sè e significarle che lei, per quanto si riferiva propriamente alla sua