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d’una volta, in qualche momento lieto d’oblio, appena levata di letto, le suggeriscono gli occhi, dallo specchio: quei suoi occhi, che riderebbero tanto volentieri, brillanti e acuti, e che ella condanna a parere invece assenti, o schivi e scontrosi. Poveri occhi belli! Quante volte sotto le ciglia aggrottate non li fissa nel vuoto, mentre per le nari trae un lungo sospiro silenzioso, quasi non volesse farlo sentire a se stessa! E come le si velano e le cangiano di colore, ogni qual volta trae uno di questi sospiri silenziosi!

Certo, deve avere imparato da un pezzo a diffidare delle sue impressioni, per il timore forse non le si attacchi a poco a poco la stessa malattia della madre. Lo dimostra chiaramente l’improvviso scomporsi delle espressioni in lei, certi subitanei pallori dopo un subitaneo invermigliarsi di tutto il viso, un sorridente rasserenarsi del volto dopo un atteggiamento fosco repentino. Chi sa quante volte, andando per via col padre e la madre, non si sentirà ferire d’ogni suono di risa, e quante volte non proverà la strana impressione che pur quell’abitino azzurro, di seta svizzera, lieve lieve, le pesi addosso come una casacca di reclusa e che il cappello di paglia le schiacci la testa; e la tentazione di stracciare quella seta azzurra, di strapparsi dal capo quella paglia e sbertucciarla con ambo le mani furiosamente e scaraventarla... in faccia alla mamma? no... in faccia al babbo, allora? no..., per terra, per terra, pestando i piedi. Perchè sì, le parrà una buffonata, una farsa sconcia, andare così parata, da personcina per bene, da signorina che s’illuda di far la sua figura, o che magari dia a vedere