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letto, in camera sua, con la febbre. Si fece pallida pallida, in prima; poi rossa rossa. Forse in quel punto stesso ella assunse coscienza del sentimento ancora indeterminato d’avversione per me.

Cavalena accorse subito alla camera del Nuti; ella s’arrestò davanti all’uscio, quasi non volesse farmi entrare; tanto che fui costretto a dirle:

— Scusi, permette? —

Ma, poco dopo, cioè quando il padre le ordinò d’andare a prendere il termometro per misurare la febbre, entrò nella camera anche lei. Non le staccai un momento gli occhi dal viso, e vidi che ella, sentendosi guardata da me, si sforzava violentemente di dissimulare la pietà e insieme lo sgomento che la vista del Nuti le cagionavano.

L’esame è durato a lungo. Ma, tranne la febbre altissima e il male alla testa, Cavalena non ha potuto accertar altro. Usciti però dalla camera, dopo aver richiuso gli scuri della finestra, perchè l’infermo non può soffrire la luce, Cavalena s’è mostrato costernatissimo. Teme che sia un’infiammazione cerebrale.

— Bisogna chiamar subito un altro medico, signor Gubbio! Io, anche perchè padrone di casa, capirà, non posso assumermi la responsabilità d’un male che stimo grave. —

M’ha dato un biglietto per quest’altro medico suo amico, che ha recàpito alla prossima farmacia, e io sono andato a lasciare il biglietto, e poi, già in ritardo, sono corso alla Kosmograph.

Ho trovato il Polacco su le spine, pentitissimo d’avere agevolato il Nuti in questa folle impresa. Dice che non si sarebbe mai e poi mai immagi-