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raggio, lei lo capisce, per sparare a una tigre dentro una gabbia: ci vuole calma, freddezza ci vuole: braccio fermo, occhio sicuro. Ebbene, designa me! mette avanti me, perchè sa che io posso, se mai, essere una belva di fronte a un uomo; ma come uomo di fronte a una belva non valgo niente! Io ho l’impeto, non ho la calma! Vedendomi una belva davanti, io ho l’istinto di lanciarmi; non ho la freddezza di star lì fermo a prender bene la mira per colpirla dove va colpita. Non so sparare; non so imbracciare il fucile; sono capace di gettarlo via, di sentirmene ingombre le mani, capisce? E questo, lui, lo sa! lo sa bene! Dunque ha voluto proprio espormi al pericolo d’essere sbranato da quella belva. E con qual fine? Ma guardi, guardi fin dove arriva la perfidia di quest’uomo! Fa venire il Nuti; gli fa da mezzano; gli sgombra la via, togliendomi di mezzo! «Sì, caro, vieni!» gli avrà scritto, «ti servo io! te lo levo io dai piedi! vieni pure tranquillo!» Lei dice di no? —
Era così aggressiva e perentoria, la domanda, che ad oppormi recisamente, avrei acceso ancor più le sue furie. Tornai a stringermi nelle spalle, risposi:
— Che vuole che le dica? Lei in questo momento, lo riconoscerà, è molto eccitato.
— Ma posso esser calmo?
— Ah, capisco...
— Ne ho ragione, mi sembra!
— Sì, senza dubbio! Ma in tale stato, caro Ferro, è anche molto facile esagerare.
— Ah, io esagero? Già già, sì... perchè quelli che sono freddi, quelli che ragionano, quando com-