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— Tabacco proibito, — disse piano. — Viene di là... —
E col pollice dell’altra mano fece, come di nascosto, un cenno per dire: San Pietro, Vaticano.
— Capisci? — disse allora Simone Pau, rivolto a me, mettendomi sotto gli occhi la sua presa. — Ti libera dell’Italia! Ti pare niente? La fiuti, e non ci senti puzza di regno!
— Via, non dica così... — pregò il vecchietto afflitto, che voleva godersi in pace i benefizi della tolleranza, tollerando.
— Lo dico io, non lo dice lei, — gli rispose Simone Pau. — Lo dico io che posso dirlo. Se lo dicesse lei, la pregherei di non dirlo in mia presenza, va bene? Ma lei è saggio, signor Cesarino! Séguiti, séguiti, la prego, a commemorarci col suo buon garbo antico i buoni lumi ad olio, a tre beccucci, di tant’anni fa... Ne vidi uno, sa? nella casa di Beethoven, a Bonn sul Reno, al tempo del mio viaggio in Germania. Ecco: bisogna questa sera richiamare la memoria di tutte le buone cose antiche attorno a questo povero violino, che si spezzò davanti a un pianoforte automatico. Confesso che vedo male qua dentro, in questo momento, il mio amico. Sì, te, Serafino. Il mio amico, signori — ve lo presento: Serafino Gubbio — è operatore: gira, disgraziato, la macchinetta d’un cinematografo.
— Ah, — fece il vecchietto, con piacere.
E le tre zitellone mi guardarono ammirate.
— Vedi? — mi disse Simone Pau. — Tu guasti tutto, qua dentro. Scommetto che lei adesso, signor Cesarino, e anche loro, signorine, hanno una