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Fabio.

Oh, ne ho di più io, allora. Quarantatre....

Baldovino.

Ah, mi congratulo: li porta meravigliosamente.

— Sa? Forse anch’io, rimettendomi un poco.... — Quarantatre, dunque. — Ora, scusi, debbo toccare un altro tasto molto delicato....

Fabio.

Mia moglie!

Baldovino.

Ne è separato. — Per torti.... —- lo so, lei è un perfetto gentiluomo — e chi non è capace di farne, è destinato a riceverne. — Per torti, dunque, della moglie. — E ha trovato qua una consolazione. Ma la vita — trista usuraja — si fa pagare quell’uno di bene che concede, con cento di noje e di dispiaceri....

Fabio.

Purtroppo!

Baldovino.

Eh, l’avrei a sapere! — Bisogna che ella sconti la sua consolazione, signor marchese! Ha davanti l’ombra minacciosa d’un protesto senza dilazione.

— Vengo io a mettere una firma d’avallo, e ad assumermi di pagare la sua cambiale. — Non può credere, signor marchese, quanto piacere mi faccia questa vendetta che posso prendermi contro la società che nega ogni credito alla mia firma. Imporre questa mia firma; dire: — Ecco qua: uno ha preso alla vita quel che non doveva e ora pago io per lui, perchè se io non pagassi qua un’onestà falUrebbe, qua l’onore d’una famiglia farebbe bancarotta; signor marchese, è per me una bella soddisfazione, è una rivincita! — Creda che non lo faccio per altro.... Lei ne dubita? ne ha tutto il diritto; perchè io sono.... — mi permette un paragone?