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86 | parte prima |
maggior serietà di questo deve considerarsi non già nell’intenzion dell’arte, che gli difetta, bensì in quella di piacere alla sua corte seguendo anche il suo gusto e il piacer suo.
Si arrivò finanche a dire che il Bojardo tratta seriamente, nel suo poema, la cavalleria. Il Rajna, che — com’è noto — nel suo libro su Le Fonti dell’Orl. Fur. par che si sia proposto di rialzare il Bojardo a costo del «suo continuatore», a proposito della distinzione da farsi tra l’Innamorato o il Furioso, domanda: «La faremo noi consistere nella cosiddetta ironia ariostesca? Certo starebbe bene, se fosse vero, come si pretende, che l’Ariosto avesse, con un sorriso incredulo, sciolto in fumo l’edificio del Bojardo, e trasformato in fantasmi i personaggi dell’Innamorato. Il male si è che quell’edificio, quei personaggi, erano già una fantasmagoria anche per il Conte di Scandiano. Se Lodovico non crede al mondo che canta e se ne fa giuoco, non ci crede maggiormente e all’occasione non se ne fa meno giuoco il suo predecessore e maestro; se ironia c’è nel Furioso, non ne manca nemmeno nell’Innamorato». E, alcune pagine innanzi: «Certo il sentir parlare di burlesco e umorismo, a proposito dell’Innamorato, deve far meraviglia, e non poca. Si è tanto avvezzi a sentir ripetere su tutti i toni, e da uomini autorevolissimi e giudiziosissimi, che il Bojardo canta le guerre d’Albraccà, e le avventure d’Orlando e di Rinaldo, con quella medesima serietà e convinzione, colla quale il Tasso celebrava un secolo dopo le imprese dei Cristiani in Palestina e l’acquisto di Gerusalemme! È un errore, di cui mi par superflua la confutazione... Non ci vuol molto ad accorgersi che tra il Bojardo ed il mondo da lui preso a rappresentare, c’è un vero contrasto, dissimile soltanto per grado e per tono da quello che impediva al Pulci d’immedesimarsi colla sua materia. Chè agli occhi di ogni Italiano colto del secolo XV erano ridicoli quei terribili colpi di lancia