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l’ironia comica nella poesia cavalleresca 79

rido» e «Io non sarò mai lieto», «... non piacqui mai A me stesso, nè piaccio», se egli è inclinato fin dalla nascita alla mestizia e alla malinconia, come il Momigliano stesso dimostra per altre testimonianze, oltre a questa della Frottola composta negli anni tardi, se «egli aveva due modi per mitigare i propri dolori: rassegnarcisi — ed era il rimedio al quale ricorreva più di raro — o riderci su al modo degli umoristi: vera consolazione da disperato», e «quest’umorismo triste — soggettivo nel Pulci, non oggettivo — manca quasi affatto nel Morgante», come diventa poi soggettivo, invece, il riso del Morgante, naturale, incoercibile irruzione dell’indole del Pulci nella materia epica? Come può esser il Pulci il vero protagonista del suo poema?

Magari fosse stato! Ma il Pulci, se in parte nelle lettere e nella Frottola riesce a ridere dei suoi dolori a modo degli umoristi, non riesce mai a oggettivare nel suo poema la disposizione naturale all’umorismo. Egli vive due vite, ma non le fa vivere nel suo poema. «Dualismo doloroso, — esclama qua il Momigliano, — che condanna il Pulci a rappresentare nel Morgante la parte d’una maschera allegra, mentre, quando s’è raffreddata la sua fantasia, onde i facili versi sono fluiti come una brigata perennemente gaja dalle porte d’un palazzo fatato, il dolore della vita tormentata di ogni giorno lo deve, pel contrasto, riassalire più acuto che mai!» O dunque? Se è una maschera, non è l’indole che naturalmente e incoercibilmente irrompe nella materia epica!

Ma non è neanche una maschera. Di veramente soggettivo nel poema non c’è quasi nulla: il Morgante è «la materia cavalleresca infusa d’un’anima plebea» come dice il Cesareo, il quale nel gigante armato di battaglio e in Margutte vede il popolo stesso che si mira allo specchio del suo rozzo e sincero naturalismo. Il primo è «ignorante, vorace, manesco, burlone, ma