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l’ironia comica nella poesia cavalleresca 77

spasso, un giuoco, per il solo fatto poi ch’egli v’impiega l'arte sua e studio e tempo, non può non esser anche preso sul serio; e non di rado, dunque, egli si immedesima davvero nel racconto, ma sempre col sentimento, con la logica, con la psicologia del popolo, e trova espressioni efficacissime. È vero che poi, tutt’a un tratto, rompe questa serietà con una risata. Ma non è mai, secondo me, per intenzione satirica: l’uscita è spesso burlesca, popolare: segue e interpreta anche qui spesso il sentimento del popolo.

E sbaglia, dunque, secondo me, il Momigliano e contraddice anche a sè stesso, quando afferma1 che «il sorriso del Morgante è soggettivo: soggettivo nel senso, che è la naturale, incoercibile irruzione dell’indole del Pulci nella materia epica. In questo senso, — anzi egli aggiunge, — il Morgante è uno dei poemi epici più soggettivi, che io conosca; potrebbe esser definito: il mondo cavalleresco veduto attraverso un temperamento giocondo. Anzi, dopo tante discussioni sul suo protagonista — chi vuole sia Morgante, chi Orlando, chi Gano — io credo, che l’unico personaggio, che domina tutta l’azione, attorno al quale tutta l’azione si svolge, sia l’autore stesso: all’infuori di lui non c’è protagonista».

Poche pagine innanzi,2 egli aveva detto: «In quell’età di riso spensierato più che satirico, il riso del Morgante non è che la vernice del tempo, che si sovrappone alla materia tradizionale deformandone soltanto la superficie». E, indagando e studiando nella prima parte del volume l’indole di Luigi Pulci: «Certo, mentre l’uomo piangeva, il poeta rideva. Non fu piccola forza d’animo durar a scrivere un poema giocondo come il Morgante, col cuore straziato da sempre nuove


  1. Pag. 120 - 121 del vol. cit.
  2. Pag. 113.