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l’ironia comica nella poesia cavalleresca 75

il De Santis, di chi dice sciocchezze con intenzione comica e fa ridere non di lui, ma di quel che dice, e di chi all’incontro dice sciocchezze per sciocchezza e fa rider di lui e non di quel che ha detto, l’autore del Morgante sta certamente nel primo caso, non già nel secondo. Il Pulci dice sciocchezze con intenzione comica o, più propriamente, parodica, e fa ridere, non tanto però quanto vorrebbe far credere in un suo libro recente Attilio Momigliano,1 come vedremo appresso.

Ho ricordato più su La scoperta dell’America di Cesare Pascarella. Ebbene, si può dire che, esteticamente, il Pulci si trovi, di fronte alla materia cavalleresca, in certo qual modo nella stessa posizione del poeta romanesco di fronte alla scoperta dell’America narrata da un popolano. Il Pascarella infatti sorprende, o finge di sorprendere, in un’osteria un popolano saputo, che racconta ad amici quella scoperta, commovendosi della gloria e della sventura di Colombo. Chi si sognerebbe d’attribuire al poeta romanesco le sciocchezze che dice quel popolano? la puerilità ridicola di quei dialoghi col re di Spagna portoghese? tutte le altre meraviglie non meno ridicole e infantili del viaggio, dell’arrivo, del ritorno? E si noti che codeste meraviglie suscitano anche, a un certo punto, qualche reazione d’incredulità in chi ascolta: — «Come le sai tu codeste cose?» — «Eh! c’è la storia». (Turpin lo dice). E, qua e là, paragoni che par dimostrino con la massima evidenza qualche cosa e invece non dimostrano nulla: e certe tirate calorose di sdegno o d’ammirazione; e certe spiegazioni in cui la logica rudimentale del popolano si compiace quando vuol farsi ragione di qualche caso o avvenimento straordinario; e certi impeti di commozione che fanno ridere non per inten-


  1. Vedi il vol. già citato L’indole e il riso di L. P., Rocca S. Casciano, Cappelli, 1907.