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l’ironia comica nella poesia cavalleresca 73

Il Morgante risponde perfettamente alla corte di Lorenzo, il quale si piace della espressione popolare e per il popolo compone, parodiando, come nella Nencia da Barberino. Egli ha il gusto della parodia, e lo dimostra anche coi Beoni: parodia dantesca, letteraria, qui; parodia dell’espressione popolare, nella Nencia. «Ben è vero che il Medici, — notò il Carducci nella prefazione alle poesie di Lorenzo de’ Medici1 — contraffece e parodiò più presto che non ritraesse la espressione degli affetti e il modo di favellare de’ nostri campagnuoli: chè i Rispetti più volte stampati negli ultimi anni mostrano aperto avere il popolo di Toscana più gentilezza d’affetto, più squisitezza di fantasia, più forbitezza di favella, che non piacesse prestargliene a Lorenzo dei Medici detto il magnifico e a Luigi Pulci suo cortegiano. Il quale, com’è de’ cortegiani, volle dar a dividere ch’e’ facea conto del poeta potente imitandolo nella Beca da Dicomano; e com’è degli imitatori, per superarlo l’esagerò, sfoggiando lo strano e il grottesco dove il Medici pur nella parodia s’era tenuto al delicato». Ma è chiaro che l’intenzione parodica comunica per forza alla forma la caricatura, giacchè, chi voglia imitare un altro, bisogna che ne colga i caratteri più spiccati e su questi insista: tale insistenza genera inevitabilmente la caricatura.

La presenza di quella pia donna che fu Lucrezia Tornabuoni potrebbe poi anche spiegarci, almeno in parte, la mascheratura religiosa che il Pulci volle dare al suo poema; parodia anch’essa, per altro, a mio modo di vedere, come tutto il resto.

Basta trattare di religione con la lingua buffona della plebe, perchè si abbia l’irriverenza.

Ricorderò qui, a questo proposito, ancora una volta quel che il Belli faceva rispondere a Luigi Luciano Bo-


  1. Firenze, Barbéra, 1859.