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72 | parte prima |
A una sola storia, se mai, il popolo avrebbe potuto credere, in materia cavalleresca: alla famosa Cronaca dello pseudo-Turpino, la quale, all’uopo, per un esempio, avrebbe potuto confermargli che il gigante di nome Ferraù o Ferracutus fuit de genere Goliat, poichè la sua statura era quasi cubitis XX, facies erat longa quasi unius cubiti et nasus illius unius palmi mensurati et brachia et crura ejus quatuor cubitum erant et digiti ejus tribus palmis. Ma non ce n’era punto bisogno! Perchè anzi il bisogno del popolo è sempre un altro: quello di credere, non di dubitare minimamente di ciò che ama di credere.
Questo dubbio poteva nascere nei tardi raffazzonatori pseudo-letterati dell’epica francese, quando, alterate a lor modo le antiche leggende, tiravano in ballo Turpino o le cronache di S. Dionigi:
Et qui ice voudrai a mançogne tenir
Se voist lire l'estoire en France, a Paris.
Dal che si vede che neanche in questo sarebbero stati originali i nostri poeti cavallereschi, ogni qual volta a mo’ di scusa aggiungevano: «Turpin lo dice».
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Quando questa materia cavalleresca, dalle piazze ove ormai è caduta, risale, per capriccio o per curiosità o per vaghezza che se ne abbia, ai palagi, alle corti dei signori, che avviene? Ma bisogna innanzi tutto avvertire all’indole, ai gusti, ai costumi di queste corti, a cui sale! Quale fosse la corte di Lorenzo de’ Medici, quali le abitudini, i piaceri, gl’intendimenti di lui, è ben noto; e basterebbe, anche senza dare tutto quel peso che si deve alla diversa indole e alla diversa educazione dei poeti, a spiegarci in gran parte perchè il Morgante Maggiore sia così diverso dell’Innamorato del Bojardo e del Furioso dell’Ariosto.