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66 | parte prima |
tende ad altro che ad uccidere». — Ebbene, da questa accusa di rozzezza, di ruvidità, di crudeltà, come difendeva egli i poemi? Non li difendeva affatto: «Si concederà volentieri, — egli dice anzi, — che in molti poemi si cantano e celebrano cose le quali, osservate dal punto di vista del nostro tempo, non possono chiamarsi altro che crudeltà, abominevoli e bestiali crudeltà, e che gli eroi spesso sfogano la loro ira in modo inumano sopra coloro che per mala ventura sono venuti in loro potere». Cita alcuni esempii e quindi, a mo’ di scusa, soggiunge: «ma il Medio Evo non era — osservato cogli occhi del nostro tempo — neppure differente; l’antico poema francese non si è certamente reso colpevole di nessuna esagerazione, poichè la storia ha conservato memoria di molte simili crudeltà».
Bella scusa, la fedeltà storica, di fronte all’estimativa estetica! Ma anche la crudeltà più atroce, come tutto, può essere argomento d’arte; e crudelissimo si dimostra Achille nel trascinare attorno alle mura di Troja il cadavere di Ettore: bisognava dimostrare che la crudeltà, nei poemi francesi, è rappresentata, non solo con fedeltà storica (il che in fondo importerebbe poco), ma artisticamente: e questo il Nyrop non poteva, perchè «gli eroi, — conviene egli stesso — considerati dal lato psicologico sono figure poco complesse, i loro moti interiori, i loro momenti di dubbio, le lotte del loro animo sono qualche cosa di cui i poeti non fanno quasi mai parola... Analizzare e notomizzare un’anima è solamente possibile e può soltanto interessare in un periodo di civiltà più avanzato. Il poeta del medio evo non conosce tutti questi delicati gradi del sentimento: per lui esistono soltanto i più spiccati segni esteriori, per lui gli uomini sono prodi o vigliacchi, lieti o afflitti, credenti o eretici, e quello che essi sono, lo sono completamente ed egli non spende mai molte parole per dirlo a’ suoi uditori o a’ suoi lettori».