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58 parte prima

testè a raffermarsi nella teoria estetica di Benedetto Croce, il quale pure con tanta chiarezza la aveva messa a nudo combattendo la teorica dei generi letterarii.

L’arte non è, nè può essere semplice conoscenza. Come ho dimostrato altrove,1 la conoscenza, sia pur soltanto intuitiva e non intellettuale, non ci può dar altro che un’oggettivazione, la quale può esser soltanto contenuto psichico e non forma, contenuto che l’arte formerà investendolo subiettivamente. Ora questa subiettività, che è creazione, che è cioè sentimento e volontà, può essere atteggiata in due modi, secondo la personalità dello scrittore. Non si può intendere altrimenti il così detto soggettivismo e il così detto oggettivismo nell’arte, di cui tanto si disputò durante il periodo della critica romantica. Lo scrittore può, creando, mostrarne coscienza e può non mostrarla. Non si tratta d’altro, in fondo, che d’un diverso atteggiamento dello spirito nell’atto della creazione. La volontà e il fine però non debbono essere esteriori. L’artista deve sentire la propria opera com’essa si sente e volerla com’essa si vuole. Avere un fine e una volontà esteriori, vuol dire uscire dall’arte.

E ne escono difatti quanti s’ostinano a ripetere che l’arte nostra del rinascimento fu splendida di fuori e vuota dentro. Vuota in che senso? Nel senso che non ebbe volontà e fini oltre a sè stessa? Ma questo fu un pregio e non un difetto. O se no, bisognerebbe dimostrare che fu arte falsa, cioè artificio. Si può dimostrar questo? Sì, certamente, se prendiamo i mediocri, gli schiavi della retorica, la quale insegnava appunto l’artificio, la copia! Ma perchè dobbiamo


  1. Vedi nel mio volume già citato Arte e Scienza, la critica, nel primo saggio, alla teoria estetica del Croce e l’appendice, in fondo al vol., Per le ragioni estetiche della parola.