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l’umorismo e la retorica 55

riore, fissata, mummificata, a questa forma non creata a volta a volta, ma imitata, studiata, composta?

Il movimento è nella lingua viva e nella forma che si crea. E l’umorismo, che non può farne a meno, (sia nel senso largo, sia nel suo proprio senso) lo troveremo — ripeto — nelle espressioni dialettali, nella poesia maccaronica e negli scrittori ribelli alla retorica.

C’è bisogno d’intendersi su questa creazione della forma, cioè su le relazioni tra la lingua e lo stile? Avvertiva acutamente lo Schleiermacher nelle sue Vorles. iib. Aesth. che l’artista adopera strumenti che di lor natura non son fatti per l’individuale, ma per l’universale: tale il linguaggio. L’artista, il poeta, deve cavar dalla lingua l’individuale, cioè appunto lo stile. La lingua è conoscenza, è oggettivazione; lo stile è il subiettivarsi di questa oggettivazione. In questo senso è creazione di forma: è, cioè, la larva della parola in noi investita e animata dal nostro particolar sentimento e mossa da una nostra particolar volontà. Non dunque creazione ex nihilo. La fantasia non crea nel senso rigoroso della parola, non produce cioè forme genuinamente nuove. Se, in fatti, esaminiamo anche i rabeschi più capricciosi, i grotteschi più strani, i centauri, le sfingi, i mostri alati, vi troveremo sempre, o più o meno alterate per le loro combinazioni, immagini rispondenti a sensazioni reali.

Ebbene, una forma, press’a poco, o meglio, in un certo senso corrispondente al grottesco nelle arti figurative troviamo nell’arte della parola, ed è appunto lo stil maccaronico: creazione arbitraria, contaminazione mostruosa di diversi elementi del materiale conoscitivo.

E avvertiamo che esso sorse appunto come ribellione e come derisione, e che non fu solo, che ebbe cioè a compagni altri linguaggi burleschi, fittizii. «Il dialetto sprezzato — notava Giovanni Zanoni, illustrando I pre-