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48 | parte prima |
Retorica, ch’era appunto una poetica intellettualistica, fondata tutta cioè su astrazioni, in base a un procedimento logico.1
L’arte per essa era abito di operare secondo certi principii. E stabiliva secondo quali principii l’arte dovesse operare: principii universali, assoluti, come se l’opera d’arte fosse una conclusione da costruire al pari d’un ragionamento. Diceva: — «Così si è fatto; così si deve fare». — Raccolti, come in un museo, tanti modelli di bellezza immutabile, ne imponeva la imitazione. Retorica e imitazione sono in fondo la stessa cosa.
E i danni che essa cagionò in ogni tempo alla letteratura sono senza dubbio, come ognun sa, incalcolabili.
Fondata sul pregiudizio della così detta tradizione, insegnava ad imitare ciò che non si imita: lo stile, il carattere, la forma. Non intendeva che ogni forma dev’essere nè antica nè moderna, ma unica, quella cioè che è propria d’ogni singola opera d’arte e non può esser altra nè di altre opere, e che perciò non può nè deve esistere tradizione in arte.
Regolata com’era dalla ragione, vedeva da per tutto categorie e la letteratura come un casellario: per ogni casella, un cartellino. Tante categorie, tanti generi; e ogni genere aveva la sua forma prestabilita: quella e non altra.
È vero che tante volte, poi, s’accomodava; ma darsi per vinta non voleva mai. Quando un poeta ribelle appioppava un calcio bene scolpito al casellario e creava a suo modo una forma nuova, i retori gli abbajavano dietro per un pezzo: ma poi, alla fine, se quella forma riusciva ad imporsi, essi se la prendevano, la smonta-
- ↑ «La retorica corrisponde alla logica» — aveva già detto Aristotile (Ret. lib. I, c. 1).