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44 | parte prima |
riguardare con indulgenza... gli errori e le malvagità umane;1 la sottile ironia che egli adopera con tanta apparenza di semplicità e d’avversione all’acerbezza; la singolare schiettezza con che pare desideroso di scusare uomini e opere nello stesso momento che è tutto inteso a farne strazio». A ogni modo, è certo che il Roscoe sentiva nel Berni e negli altri nostri poeti bajoni lo stesso sapore che sentiva negli scrittori suoi connazionali dotati di humour.
E non lo sentiva forse il Byron nel nostro Pulci, di cui tradusse finanche il primo canto del Morgante? E lo stesso Sterne non lo sentiva finanche nel nostro Gian Carlo Passeroni (Passeroni dabben’, come lo chiamava il Parini), quel buon prete nizzardo che nel canto XVII, parte III del suo Cicerone ci fa sapere (str. 122ma):
E già. mi disse un chiaro letterato
Inglese, che da questa mia stampita
Il disegno, il modello avea cavato
Di scrivere in più tomi la sua vita2
E pien di gratitudine e d’amore
Mi chiamava suo duce e precettore?
E, d’altro canto, non risente proprio per nulla degli scrittori francesi del grand siècle e anche da altri che non appartengono a questo quel gruppo di umoristi inglesi di cui abbiamo or ora fatto parola?
Il Voltaire, parlando dello Swift nelle sue Lettres sur les Anglais, dice: «Mr. Swift est Rabelais dans son bon sens et vivant en bonne compagnie. Il n’a pas, à la verité, la gaîté du premier, mais il a tout la finesse, la raison, la choix, le bon goût qui manquent à notre