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42 | parte prima |
grotteschi, satirici, comici d’ogni tempo e d’ogni nazione dovrebbero esser considerati umoristi.
L’errore è sempre quello: de la distinzione sommaria.
Sono innegabili le diverse qualità delle varie razze, è innegabile che la plaisanterie francese non è l’inglese come non è l’italiana, la spagnuola, la tedesca, la russa, e via dicendo; innegabile che ogni popolo ha un suo proprio umore; l’errore comincia quando quest’umore, naturalmente mutabile nelle sue manifestazioni secondo i momenti e gli ambienti, è considerato, come comunemente il volgo suol fare, quale umorismo; oppure quando per considerazioni esteriori e sommarie si afferma sostanzialmente diverso negli antichi e nei moderni; e quando in fine, per il solo fatto che gli Inglesi chiamarono humour questo loro umore nazionale, mentre gli altri popoli lo chiamarono altrimenti, si viene a dire che soltanto gl’Inglesi hanno il vero e proprio umorismo.
Abbiamo già veduto che, molto prima che quel gruppo di scrittori inglesi del sec. XVIII si chiamasse degli umoristi,1 in Italia avevamo avuto e umidi e umorosi e umoristi. Questo, se si vuol discutere sul nome. Se si vuol poi discutere intorno alla cosa, è da osservare innanzi tutto che, intendendo in questo senso largo l’umorismo, tanti e tanti scrittori che noi chiamiamo burleschi o ironici o satirici o comici ecc. sarebbero chiamati umoristi dagli Inglesi, i quali sentirebbero in essi quel tal sapore che noi sentiamo nei loro scrittori e non sentiamo più nei nostri per quella particolarissima ragione che con molto accorgimento è stata messa in chiaro dal Pascoli ultimamente. «C’è, — dice il Pa-