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38 | parte prima |
la estrosità francese, la gioja, la gajezza, quella specie di buon vino che non si vendemmia se non nei paesi del sole. Nello stato insulare e puro, essa lascia sempre in fine, un sapor di aceto.
Chi scherza così è di raro benevolo e non è mai lieto, sente e tradisce fortemente le dissonanze della vita. E non ne gode; in fondo anzi ne soffre e se ne irrita. Per studiar minuziosamente un grottesco, per prolungar freddamente un’ironia, bisogna avere un sentimento continuo di tristezza e di collera. I saggi perfetti del genere si devono cercare nei grandi scrittori, ma il genere è talmente indigeno che si trova ogni giorno nella conversazione ordinaria, nella letteratura, nelle discussioni politiche, ed è la moneta corrente del Punch».
La citazione è un po’ troppo lunga; ma opportuna per chiarir parecchie cose.
Il Taine riesce a coglier bene la differenza generale tra la plaisanterie inglese e la francese, o meglio, il diverso umore dei due popoli. Ogni popolo ha il suo, con caratteri di distinzione sommaria. Ma, al solito, non bisogna andare tropp’oltre, non bisogna cioè prender questa distinzione sommaria come solido fondamento nel trattare d’un’espressione d’arte specialissima come la nostra.
Che diremmo di uno il quale dal sommario accertamento che vi son certi tratti fisionomici comuni per cui, così all’ingrosso, distinguiamo un Inglese da uno Spagnuolo, un Tedesco da un Italiano, ecc. traesse la conseguenza che tutti quanti gl’Inglesi, per esempio, hanno gli stessi occhi, lo stesso naso, la stessa bocca?
Per intender bene quanto sia sommario questo modo di distinguere, chiudiamoci per un momento nei confini del nostro paese. Noi tutti, d’una data nazione, possiamo notar facilmente come e quanto la fisionomia