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26 | parte prima |
e diremo la ragione per cui i nostri segnatamente ci debba parere che non siano tali.
Tutte le partizioni sono arbitrarie. Poco dopo la pubblicazione del saggio del Nencioni, che negava — come abbiamo veduto — all’antichità una letteratura umoristica, non solo, ma anche la possibilità di averla, sorsero da noi prima il Fraccaroli, con uno studio intitolato appunto Per gli Umoristi dell’Antichità,1 poi il Bonghi,2 poi altri ancora a rilevare nelle letterature classiche e specialmente nella greca, assai più umorismo, che non avesse saputo vedere il Nencioni.
Quel felice equilibrio, quella calma statuaria e l’anima sana e giovine e la serena armonia della vita e del temperamento degli antichi, come la natura rappresentata da questi con precisione e con fedeltà, senza melanconia nè nostalgia, sono vecchi cavalli di battaglia della critica romantica. Già lo stesso Schiller, autore primo della partizione, dovette riconoscere che Euripide, Orazio, Properzio, Virgilio non si erano fatti un concetto ingenuo della natura e quindi concludere che vi erano anime sentimentali presso gli antichi e anime greche presso i moderni, e cancellare così, come impossibile a mantenere, la linea divisoria tra ispirazione antica e ispirazione moderna.
Su le tracce del Biese, che scrisse su l’evoluzione del sentimento della natura presso i greci,3 il Basch dimostrò agevolmente quanto di sentimentale vi fosse nella poesia e nel pensiero dei Greci, nella mitologia primitiva, nelle metamorfosi spesso grottesche delle divinità, nell’utopia nostalgica dell’età dell’oro, nella raffinata melanconia dei lirici e degli elegiaci in ispecie,