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16 | parte prima |
sorridere della vana parvenza dell’universo: come la pone, può anche annullarla; può non prender sul serio le proprie creazioni. Onde l’ironia: cioè quella forza — secondo il Tieck — che permette al poeta di dominar la materia che tratta; materia che si riduce per essa — secondo Federico Schlegel — a una perpetua parodia, a una farsa trascendentale.
Trascendentale più d’un po’, osserveremo noi, questa concezione dell’ironia: né, del resto, se consideriamo per poco donde ci viene, poteva essere altrimenti. Tuttavia essa ha, o può avere, almeno in un certo senso, qualche parentela col vero umorismo, più stretta certamente che non l’ironia retorica, da cui, in fondo, tira tira, si potrebbe veder derivare. Qui, nell’ironia retorica, non bisogna prender sul serio quel che si dice; lì, nella romantica, si può non prender sul serio quel che si fa. L’ironia retorica sarebbe, rispetto alla romantica, come quella famosa rana della favola, la quale, trasportata nel macchinoso mondo dell’idealismo metafisico tedesco e abbottandosi qua più di vento che d’acqua, fosse riuscita ad assumere le invidiate proporzioni del bue. L’infingimento, quella tal contradizione fittizia, di cui parla la retorica, è diventata qua, a furia di gonfiarsi, la vana parvenza dell’universo. Ora ecco: se l’umorismo consistesse tutto nella puntura di spillo che svescia quella rana abbottata, ironia e umorismo sarebbero press’a poco la stessa cosa. Ma l’umorismo, come vedremo, non è tutto in questa puntura di spillo.
Al solito, Federico Schlegel non fece altro qui che esagerare idee e teorie altrui: oltre all’idealismo soggettivo del Fichte, la famosa teoria del gioco esposta dallo Schiller nelle 27 lettere Ueber die aesthetische Erziehung des Menschen.
Il Fichte aveva voluto, in fondo, compire la dottrina Kantiana del dovere: dicendo che l’universo è creato