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168 | parte seconda |
nerale, se questo sentimento misto di riso o di pianto, quanto più si stringe e determina in don Abbondio, tanto più si allarga e quasi vapora in una tristezza infinita, ne segue, dicevamo, che a voler considerare da questo lato la rappresentazione del curato manzoniano, noi non sappiamo più riderne. Quella pietà, in fondo, è spietata: la simpatica indulgenza non è così bonaria come sembra a tutta prima.
Gran cosa come si vede, avere un ideale — religioso, come il Manzoni; cavalleresco, come il Cervantes — per vederselo poi ridurre dalla riflessione in don Abbondio e in Don Quijote! Il Manzoni se ne consola, creando accanto al curato di villaggio Fra Cristoforo e il Cardinal Borromeo; ma è pur vero che, essendo egli sopra tutto umorista, la creatura sua più viva è quell’altra, quella cioè in cui il sentimento del contrario s’è incarnato. Il Cervantes non può consolarsi in alcun modo perchè, nella carcere della Mancha, con Don Quijote — come egli stesso dice — genera qualcuno che gli somiglia.
V
È un considerar superficialmente, abbiamo detto, e da un lato solo l’umorismo, il vedere in esso un particolar contrasto tra l’ideale e la realtà. Un ideale può esserci, ripetiamo; questo dipende dalla personalità del poeta; ma se c’è, ecco, è per vedersi decomposto, limitato, rappresentato a questo modo. Certamente, come tutti gli altri elementi costitutivi dello spirito d’un poeta, esso entra e si fa sentire nell’opera umoristica, le dà un particolar carattere, un particolar sapore; ma non è condizione imprescindibile: tutt’altro! chè anzi è proprio dell’umorista, per la speciale attività che assume in lui la riflessione, generando il sentimento del contrario, il non saper più da qual parte tenere, la perplessità, lo stato irresoluto della coscienza.