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la parola «umorismo» 13

alcuni umoristi sieno semplicemente lunatici, non è qui il luogo di discutere. Certo è questo, che un fondo comune vi è in tutti coloro che la voce pubblica raccoglie sotto la stessa denominazione di umoristi».

L’osservazione in fondo è giusta; ma — piano con la voce pubblica! — vorremmo dire al D’Ancona. «Dopo la parola romanticismo, la parola più abusata e sbagliata in Italia (in Italia soltanto?) è quella di umorismo. Se fossero realmente umoristi gli scrittori, i libri, i giornali battezzati con questo nome, noi non avremmo nulla da invidiare alla patria di Sterne e di Thackeray o a quella di Gian Paolo e di Heine. Non si potrebbe uscir di casa senza incontrar per la strada due o tre Cervantes e una mezza dozzina di Dickens... Vogliamo solo notare fin da principio che vi è una babilonica confusione nell’interpretazione della voce umorismo. Per il gran numero, scrittore umoristico è lo scrittore che fa ridere: il comico, il burlesco, il satirico, il grottesco, il triviale: — la caricatura, la farsa, l’epigramma, il calembour si battezzano per umorismo: come da un pezzo si costuma di chiamare romantico tutto ciò che vi è di più arcadico e sentimentale, di più falso e barocco. Si confonde Paul de Kock con Dickens, e il visconte d’Arlincourt con Victor Hugo».

Questo notava Enrico Nencioni, or sono più di vent’anni, cioè nel 1884, in un articolo su la Nuova Antologia intitolato appunto L’Umorismo e gli Umoristi, che fece molto rumore.

Non si può dir veramente che la voce pubblica in tutto questo lasso di tempo, si sia ricreduta. Anche oggi, per il gran numero, scrittore umoristico è lo scrittore che fa ridere. Ma perchè in Italia soltanto? Da per tutto! Il volgo non può intendere i segreti contrasti, le sottili finezze del vero umorismo. Si confondono anche altrove la caricatura, la farsa bislacca, il grottesco con l’umorismo; si confondono anche là dove