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160 | parte seconda |
tutti cercano affannosamente e nessuno trova, forse perchè non esiste. Quel che importa è che si dia importanza a qualche cosa, e sia pur vana: varrà quanto un’altra stimata seria, perchè in fondo nè l’una nè l’altra daranno sodisfazione: tanto è vero che durerà sempre ardentissima la sete di sapere, non si estinguerà mai la facoltà di desiderare, e non è detto pur troppo che nel progresso consista la felicità degli uomini.
Tutte le finzioni dell’anima, tutte le creazioni del sentimento vedremo esser materia dell’umorismo, vedremo cioè la riflessione diventar come un demonietto che smonta il congegno d’ogni immagine, d’ogni fantasma messo su dal sentimento; smontarlo per veder com’è fatto; scaricarne la molla, e tutto il congegno striderne, convulso. Può darsi che questo faccia talvolta con quella simpatica indulgenza di cui parlan coloro che vedono soltanto un umorismo bonario. Ma non c’è da fidarsene, perchè se la disposizione umoristica ha talvolta questo di particolare, cioè questa indulgenza, questo compatimento o anche questa pietà, bisogna pensare che esse son frutto della riflessione che si è esercitata sul sentimento opposto; sono un sentimento del contrario nato dalla riflessione su quei casi, su quei sentimenti, su quegli uomini, che provocano nello stesso tempo lo sdegno, il dispetto, l’irrisione dell’umorista, il quale è tanto sincero in questo dispetto, in questa irrisione, in questo sdegno, quanto in quell’indulgenza, in quel compatimento, in quella pietà. Se così non fosse, si avrebbe non più l’umorismo vero e proprio, ma l’ironia, che deriva — come abbiamo veduto — da una contradizione soltanto formale, da un infingimento retorico, affatto contrario alla natura dello schietto umorismo.
Ogni sentimento, ogni pensiero, ogni moto che sorga nell’umorista si sdoppia subito nel suo contrario: ogni