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caratteri e materia dell'umorismo | 151 |
perfetta riproduzione di quello stato d’animo che il poeta voleva suscitare, nella quale consiste appunto la bellezza estetica.
Vediamo ora un esempio più complesso, nel quale la speciale attività della riflessione non si scopra così a prima giunta; prendiamo un libro di cui abbiamo già discorso: il Don Quijote del Cervantes. Vogliamo giudicarne il valore estetico. Che faremo? Dopo la prima lettura e la prima impressione che ne avremo ricevuto, terremo conto anche qui dello stato d’animo che l’autore ha voluto suscitare. Qual’è questo stato d’animo? Noi vorremmo ridere di tutto quanto c’è di comico nella rappresentazione di questo povero alienato che maschera della sua follia sè stesso e gli altri e tutte le cose; vorremmo ridere, ma il riso non ci viene alle labbra schietto e facile; sentiamo che qualcosa ce lo turba e ce l’ostacola: è un senso di commiserazione, di pena e anche d’ammirazione, sì, perchè se le eroiche avventure di questo povero hidalgo sono ridicolissime, pur non v’ha dubbio che egli nella sua ridicolaggine è veramente eroico. Noi abbiamo una rappresentazione comica, ma spira da questa un sentimento che ci impedisce di ridere o ci turba il riso della comicità rappresentata; ce lo rende amaro. Attraverso il comico stesso, abbiamo anche qui il sentimento del contrario. L’autore l’ha destato in noi perchè s’è destato in lui, e noi ne abbiamo già veduto le ragioni. Ebbene, perchè non si scopre qui la speciale attività della riflessione? Ma perchè essa — frutto della tristissima esperienza della vita, esperienza che ha determinato la disposizione umoristica nel poeta — si era già esercitata sul sentimento di lui, su quel sentimento che lo aveva armato cavaliere della fede a Lepanto. Spassionandosi di questo sentimento e ponendovisi contro, da giudice, nella oscura carcere della Mancha, ed analizzandolo con