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caratteri e materia dell’umorismo 145

si trovano in tutti gli umoristi. Alcuni di questi tratti, che al critico francese, e non a lui soltanto, pajono principali dell’umorismo, si troveranno in alcuni, in altri no; e in certuni anzi si troverà il contrario, come ad esempio nello Swift, che è malinconico nel senso originario della parola, cioè pieno di fiele; e del resto noi vedremo un po’ più innanzi, parlando del don Abbondio del Manzoni, a che cosa in fondo si riduca quella peculiar bonarietà o simpatica indulgenza.

Al contrario, quella «acre disposizione a scoprire ed esprimere il ridicolo del serio e il serio del ridicolo umano», di cui parla il Bonghi, calzerà allo Swift e ad umoristi al pari di lui beffardi e mordaci; non calzerà ad altri; nè del resto, come osserva il Lipps, opponendosi alla teoria del Lazzarus, che considera anch’esso l’umorismo soltanto come una disposizione d’animo, questo modo di considerarlo è completo. Nè completo sarà quello del Hegel che lo dice «attitudine speciale d’intelletto e di animo onde l’artista si pone lui stesso al posto delle cose», definizione che, a non porsi bene a guardare da quel solo lato da cui l’Hegel lo guarda, ha tutta l’aria d’un rebus.

Caratteristiche più comuni, e però più generalmente osservate, sono la «contradizione» fondamentale, a cui si suol dare per causa principale il disaccordo che il sentimento e la meditazione scoprono o fra la vita reale e l’ideale umano o fra le nostre aspirazioni e le nostre debolezze e miserie, e per principale effetto quella tal perplessità tra il pianto e il riso; poi lo scetticismo, di cui si colora ogni osservazione, ogni pittura umoristica, e in fine il suo procedere minuziosamente e anche maliziosamente analitico.

Dalla somma, ripeto, di tutte queste caratteristiche e conseguenti definizioni si può arrivare a comprendere, così, in generale, che cosa sia l’umorismo, ma nessuno negherà che non ne risulti una conoscenza

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