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umoristi italiani 137

risti in Inghilterra nel sec. XVIII, e molti furon degli umidi nel Cinquecento in Italia, e degli arcadi nel settecento. Uno stato d’animo si può creare in noi e divenir coerente o rimaner fittizio, secondo che risponda o no alla speciale fisionomia dell’organismo psichico. Ma poi le idee del tempo mutano, cangia la moda, i pòmpili seguaci si mettono appresso ad altre navi. Chi resta? Restano quei pochi, da contar su le dita, quei pochi che ebbero, primi, l’intuizione straordinaria, o in cui quello speciale stato d’animo divenne così coerente, che poteron creare un’opera organica, resistente al tempo e alla moda.

Sul serio crede poi l’Arcoleo che nella nostra letteratura dialettale non ci sia altro che spirito comico? Egli è siciliano, e certamente ha letto il Meli, e sa quanto sia ingiusto il giudizio di arcadia superiore dato della poesia di lui, che non fu sonata soltanto su la zampogna pastorale, ma ebbe anche tutte le corde della lira e si espresse in tutte le forme. Non c’è vero e proprio umorismo in tanta parte della poesia del Meli? Ma basterebbe citar soltanto La cutuliata per dimostrarlo!

Tic tic... chi fu? Cutuliata.

E non c’è umorismo, vero e proprio umorismo, in tanti e tanti sonetti del Belli? E senza parlare delle figure del Maggi, il Giovannin Bongè, il Marchionn di gamb avert di Carlo Porta non son due capolavori d’umorismo? E, poichè si parla di tipi rimasti imperituri, il Monsù Travet del Bersezio, Il Nobilomo Vidal del Gallina? E un altro scrittore dialettale abbiamo, finora quasi del tutto ignoto, grandissimo: umorista vero, se mai ce ne fu, e — a farlo apposta — meridionalissimo, di Reggio Calabria: Giovanni Merlino, rivelato or sono circa dieci anni, in una conferenza1 da Giu-


  1. Vedi Giovanni Merlino, umorista, Napoli, Pierro, 1898.