Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
136 | parte prima |
Non si pretenderà, che gl’Italiani o i Francesi abbiano l’humour inglese; come non si può pretendere che gl’Inglesi ridano a modo nostro o facciano dello spirito come i Francesi. L’avranno magari fatto, qualche volta; ma ciò non vuol dire. L’umorismo vero e proprio è un’altra cosa, ed è anche per gl’Inglesi un’eccentricità di stile. Basta confondere l’una cosa e l’altra — diciamo anche noi a nostra volta — perchè si venga a riconoscere una letteratura umoristica a un popolo e a negarla a un altro. Ma una letteratura umoristica si può avere a questo solo patto, cioè di far questa confusione; e allora ogni popolo avrà la sua, assommando tutte le opere in cui questo tipico umore si esprime nei più bizzarri modi; e noi potremmo cominciar la nostra, ad esempio, con Cecco Angiolieri, come gl’Inglesi la cominciano col Chaucer, e non direi che la comincino bene, non per il valore del poeta, ma perchè egli mostra di aver mescolato alla bevanda nazionale un po’ del vino che si vendemmia nel paese del sole. Altrimenti, una letteratura umoristica vera e propria non è possibile, presso nessun popolo: si possono avere umoristi, cioè pochi e rari scrittori in cui per natural disposizione avviene quel complicato e speciosissimo processo psicologico che si chiama umorismo. Quanti ne cita l’Arcoleo?
Certamente, l’umorismo nasce da uno speciale stato d’animo, che può, più o meno, diffondersi. Quando un’espressione d’arte riesce a conquistare l’attenzione del pubblico, questo si dà subito a pensare e a parlare e a scrivere secondo le impressioni che ne ha ricevuto; di modo che quella espressione, sorta dapprima dalla particolare intuizione d’uno scrittore, penetrata rapidamente nel pubblico, è poi da questo variamente trasformata e diretta. Così avvenne per il romanticismo, così per il naturalismo: diventarono le idee del tempo, quasi un’atmosfera ideale; e molti fecero per moda i romantici o i naturalisti, come molti per moda fecero gli umo-