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umoristi italiani 127

comprende e assolse: non già la tolleranza indifferente dello scettico, dell’ebete, dello sciocco; ma la tolleranza dello scienziato, che non sente odio contro la materia ch’egli analizza e studia, e la tratta coll’ironia dell’uomo superiore alle passioni e dice: — ti tollero, non perchè ti approvi, ma perchè ti comprendo» — pensavo a tutti questi elementi che, a farlo apposta, se li mettiamo in fila, son proprio quelli che gl’intenditori delle letterature straniere riconoscono proprii dei veri e più celebrati umoristi (s’intende, inglesi o tedeschi), e — Dio me lo perdoni — non sapevo più se piangere o ridere di tutte le meraviglie che questi intenditori han sempre detto... che so? delle Lettere d’un drappiere e degli altri scritti politici del decano Gionata Swift!

A questi intenditori, che delle letterature straniere ci pongono innanzi i soliti cinque o sei scrittori umoristi, basta dare della letteratura nostra un giudizio così fatto: «L’opera d’arte è scherzo geniale di fantasia, è riso fugace d’impressione destato dalle immagini, non dalle cose, gajezza accademica di ricordi, erudita ilarità; manca il sentimento profondo della famiglia (e ne aveva tanto lo Swift, difatti!), della natura, della patria; o meglio manca in quella forma gaja e ne assume un’altra, acre e violenta (e che miele, difatti, nello Swift!), che ricorda Persio e Giovenale. Non fo nomi; basti accennare che le tradizioni classiche, lo spirito d’imitazione, la lingua ristretta nel vocabolario, schiva del popolo, impedirono nell’arte la libertà di atteggiamenti, di forma, di stile indispensabile all’humour: come altri ostacoli, il Papato, la dominazione straniera, le discordie intestine, la boria regionale e le accademie e le scuole impedirono la libertà politica, religiosa, scientifica. Ne affligge antico male; in scienza pedanti, in arte retori, nella vita attori, solenni sempre o gravi, insofferenti di analisi, corrivi alle grandi idee, sdegnosi delle modeste e lente esperienze, cercatori di