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116 | parte prima |
ad esso tutte quelle cure e conferito quegli elementi che meglio valessero a fecondarlo. Di questa considerazione avrebbero potuto farsi forti tutti coloro che nel medio evo scoprivano non so che allegorie nei poeti greci e latini. Era anche questo un modo di sciogliere in rapporti logici le creazioni della fantasia. Certo, quando un poeta riesce veramente a dar vita a una sua creatura, questa vive indipendentemente dal suo autore, tanto che noi possiamo immaginarla in altre situazioni in cui l’autore non pensò di collocarla, e vederla agire secondo le intime leggi della sua propria vita, leggi che neanche l’autore avrebbe potuto violare; certo, questa creatura, in cui il poeta riuscì a raccogliere instintivamente, ad assommare e a far vivere tanti particolari caratteristici e tanti elementi sparsi qua e là, può divenir poi quel che suol dirsi un tipo, ciò che non era nell’intenzione dell’autore nell’atto della creazione.
Ma si può dir questo veramente del Don Quijote del Cervantes? Si può dire e sostenere sul serio che l’intenzione del poeta nel comporre il suo libro era solamente quella di toglier con l’arma del ridicolo ogni autorità e prestigio che avevan nel mondo e presso il volgo i libri di cavalleria, a fine di distruggerne i mali effetti, e che il poeta non si sognò mai di porre in quel suo capolavoro tutto quello che ci vediamo noi?
Chi è Don Quijote, e perchè è ritenuto pazzo?
Egli in fondo non ha — e tutti lo riconoscono — che una sola e santa aspirazione: la giustizia. Vuol proteggere i deboli e atterrare i prepotenti, recar rimedio a gli oltraggi della sorte, far vendetta delle violenze della malvagità. Quanto più bella e più nobile sarebbe la vita, più giusto il mondo, se i propositi dell’ingegnoso gentiluomo potessero sortire il loro effetto! Don Quijote è mite, di squisiti sentimenti, prodigo e non curante di sè, tutto per gli altri. E come