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l’ironia comica nella poesia cavalleresca | 111 |
Ma intanto, altro è fingere di credere, altro è credere sul serio. Quella finzione, per sè stessa ironica, può condurre a un accordo con la leggenda, la quale, o si scioglie facilmente nell’ironia, come abbiamo veduto, o con un procedimento inverso a quello fantastico, cioè con una impalcatura logica, si lascia ridurre a parvenza di realtà. La realtà vera, invece, se per un momento si lascia alterare in forme inverosimili dalla contemplazione fantastica d’un maniaco, resiste e rompe il naso, se questo maniaco non si contenta più di contemplarla a suo modo da lontano, ma viene a darvi di cozzo. Altro è abbattersi a un castello finto, che si lascia a un tratto sciogliere in fumo, altro a un molino a vento vero, che non si lascia atterrare come un gigante immaginario.
— Mire vuestra merced, grida Sancho al suo padrone, que aquellos que allì se parecen no son gigantes, sino molinos de viento, y lo que en ellos parecen brazos son las aspas, que volteadas del viento hacen andar la piedra del molino.
Ma Don Quijote volge uno sguardo compassionevole al suo panciuto scudiero, e grida ai molini:
— Pues aunque movais mas brazos que los del gigante Briareo, me lo habeis de pagar.
La paga lui, ohimè. E noi ridiamo. Ma il riso che qua scoppia per quest’urto con la realtà è ben diverso di quello che nasce là per l’accordo che il poeta cerca con quel mondo fantastico per mezzo dell’ironia, che nega appunto la realtà di quel mondo.
L’uno è il riso dell’ironia comica, l’altro il riso dell’umorismo.
Allorchè Orlando urta anche lui contro la realtà e smarrisce del tutto il senno, getta via le armi, si smaschera, si spoglia d’ogni apparato leggendario, e precipita, uomo nudo, nella realtà. Scoppia la tragedia. Nessuno può ridere del suo aspetto e de’ suoi atti;