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l’ironia comica nella poesia cavalleresca 109

Il poeta si compiace in un’altra descrizione, invece, come già Atlante si compiaceva di scherzare coi cavalieri che venivano a sfidarlo; voglio dire nella descrizione comica di tutti quei liberati, che vorrebbero impadronirsi dell’ippogrifo, il quale li mena per la campagna:

Come fa la cornacchia in secca arena
Che seco il cane or qua or là si mena.

Perchè manca quell’altra descrizione? Ma perchè il poeta si è posto fin da principio, rispetto alla sua materia, in condizioni del tutto opposte a quelle in cui si sarebbe messo un umorista. Egli schiva il contrasto e cerca l’accordo tra le ragioni del presente e le condizioni favolose di quel mondo passato: lo ottiene sì, ironicamente, perchè, com’ho detto, è per sè stessa ironica quell’intenzione d’accordo; ma l’effetto è che quelle condizioni non si affermano come realtà nella rappresentazione, si sciolgono, per dirla col De Sanctis, nell’ironia, la quale, distruggendo il contrasto, non può più drammatizzarsi comicamente, ma resta comica, senza dramma.

Si affermano invece le ragioni del presente trasportate e investite negli elementi di quel mondo lontano capaci d’accoglierle, e allora possiamo anche avere il dramma, ma seriamente e finanche tragicamente rappresentato: Ginevra, Olimpia, la pazzia d’Orlando. I due elementi — comico e tragico — non si fondono mai.

Si fonderanno in un’opera, nella quale il poeta, ben lungi dal mostrar coscienza della irrealità di quel mondo fantastico; ben lungi dal cercar con esso l’accordo, che di necessità non è possibile se non ironicamente, palesata in tanti modi la coscienza di quella irrealità; ben lungi dal trasportare in quel mondo fantastico le ragioni del presente per investirne gli elementi capaci d’accoglierle; darà a questo mondo fantastico del pas-