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104 | parte prima |
modo eliminare senza snaturare al tutto quel mondo. E allora il poeta o cerca di ridurlo a simbolo, o senz’altro lo accoglie, ma — naturalmente — con un sentimento ironico.
Un poeta può, non credendo alla realtà della propria creazione, rappresentarla come se ci credesse, cioè non mostrare affatto coscienza della irrealità di essa; può rappresentar come vero un suo mondo affatto fantastico, di sogno, regolato da leggi sue proprie, e, secondo queste leggi, perfettamente logico o coerente. Quando un poeta si mette in codeste condizioni, il critico non deve più vedere se quel che il poeta gli ha posto innanzi è vero o è sogno, ma se come sogno è vero; poichè il poeta non ha voluto rappresentare una realtà effettiva, ma un sogno che avesse apparenza di realtà, s’intende di sogno, fantastica, non effettiva.
Ora questo non è il caso dell’Ariosto. In più d’un punto, come abbiamo già notato, egli mostra apertamente coscienza della irrealità della sua creazione, la mostra anche dove all’elemento meraviglioso di quel mondo dà valore morale e consistenza logica, non fantastica. Il poeta non vuol creare e rappresentare come vero un sogno; non è preoccupato soltanto della verità fantastica del suo mondo, è preoccupato anche della realtà effettiva; non vuole che quel suo mondo sia popolato di larve o di fantocci, ma di uomini vivi e veri, mossi e agitati dalle nostre stesse passioni; il poeta insomma vede, non le condizioni di quel passato leggendario divenute realtà fantastica nella sua visione, ma le ragioni del presente, trasportate e investite in quel mondo lontano. Ora naturalmente, allorchè esse vi trovano elementi capaci di accoglierle, la realtà fantastica si salva; ma allorchè non li trovano, per la irriducibilità stessa di quegli elementi, l’ironia scoppia, inevitabile, e quella realtà si frange.
Quali sono queste ragioni del presente? Sono le ra-