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100 | parte prima |
di corsa; e Angelica non ha ancor finito di confortarlo con fine ironia, attribuendo cioè, al solito, la colpa della caduta al cavallo, che gli fa dare il calcio dell’asino da quel messaggero che sopravviene afflitto e stanco su un ronzino:
Tu dêi saper che ti levò di sella
L’alto valor d’una gentil donzella.
C’è da morirne! Ma non basta: ecco Rinaldo; Angelica fugge; e il povero Sacripante, re di Circassia, resta scornato, bastonato e a piedi.
Ma alla fin fine può consolarsi, che non avvengono soltanto a lui simili disgrazie. Ad altri ne occorrono anche di peggiori. Ce n’è per tutti! Il poeta si spassa a rappresentar la frode delle varie illusioni e a frodar anche i maghi che le frodi ordiscono. È un mondo in balia dell’amore, della magia, della fortuna; che ne volete? E come dell’amore le pazzie e della magia gl’inganni, egli rappresenta della fortuna la mutabilità.
Ferraù, staccatosi al bivio da Rinaldo, gira gira, si ritrova «onde si tolse», e poichè non spera di ritrovar la donna, si scorda le botte date e ricevute, la tenzone differita, e si rimette a cercar l’elmo che gli era caduto nell’acqua.
Or se fortuna (quel che non volesti
Far tu) pone ad effetto il voler mio,
Non ti turbar,
gli grida l’Argalia emerso dalle onde con l’elmo in mano, l’elmo caduto a Ferraù giusto dove il cadavere dell’Ar-
tuto risparmiarsi il Rajna tanto sfoggio di erudizione e venir senz’altro all’episodio di Prasildo nel Bojardo. La differenza però rimane sempre sostanziale. L’Ariosto prende un verso al Bojardo:
Che avria spezzato un sasso di pietade;
ma glielo corregge così:
Che avrebbe di pietà spezzato un sasso.
Ecco tutto.