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sionale, tutto a forellini, levigato e giallognolo, serbava l’impronta opaca di tante fronti di peccatori. Marta lo notò con un certo ribrezzo, e si tirò ancora di più sul capo il lungo scialle nero, fin quasi a nascondersi il volto. Era pallidissima, e tremava.
La chiesa, deserta, aveva un silenzio misterioso, assorbente, nella cruda immobile frescura insaporata d’incenso. La solenne vacuità dell’interno sacro, quasi sospeso agl’immani pilastri, alle ampie arcate, dava all’anima, in quella penombra, un senso d’oppressione. Tutta la navata di centro era occupata da due ali di seggiole impagliate, disposte in lunghe file sul pavimento polveroso, ineguale per le antiche pietre tombali, logore.
Marta stava inginocchiata su una di queste pietre, e aspettava che quella vecchia penitente le cedesse il posto nel confessionale. Quanti peccati, quella vecchia! Ma suoi o della miseria? e quali mai? Il vecchio confessore li ascoltava attraverso i forellini del legno, con volto impassibile.
Marta chinò gli occhi e, per distrarsi, cercò di decifrare l’iscrizione funeraria in parte svanita sulla pietra dalla logora effigie. Li sotto, uno scheletro.... Che importava più il nome? Ma come e quanto più raccolto, più sicuro, più pro-